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      Ed, irretito, si essicca nel sentimento: «È necessario conservare a qualunque costo la propria libertà completa, anche nell'ebbrezza» diceva all'Huret, quando lo intervistava, a Parigi, nel 1898. Creatosi da se stesso un idoletto famigliare, per esporre nelle solennità sull'altari pubblici, l'inchina e s'adora. Egli ha rinunciato alla sua essenza di uomo, per ridursi un personaggio favoloso; simbolo, credutosi fattore di un nuovo mondo plasmato argutamente dalla disposizione di elementi non suoi ed eterogenei, luccica, ai ceri della sua celebrazione e affascina di lontano e per udita.
      Ma quale ferruminazione ha costrutto l'idoletto! creta, vetro, ambra, piombo, ferro, argento ed oro. Ogni metallo è palese; ogni sintesi visibile; ciascuno sa il numero delle parti e le varietà delle cose che lo compongono. Non importa; nelle pubbliche solennità egli veste la sua statuina; la veste è sua; sarto e sacerdote, ha curato che l'abbigliamento corrisponda al rito; e rito ed abbigliamento corrispondano ai vaghi desiderii del giorno.
      Onde, i piú curiosi, che non siano i sapienti e li eruditi, in cui la curiosità è anche inurbana, non si permettono di sollevare il lembo della clamide ricamata per scoprirvi sotto le varie e pezzate nudità ed accettano, come unico plasma, fuso da un'unica matrice ignivoma, questa bastarda falsificazione, applaudendo ancora.
      Perché D'Annunzio non si deve pontificare? Fu già, di volta in volta, riflesso di sua parte, ed Andrea Sperelli, e Tullio Hermil, e Giorgio Aurispa, divorati di un ardore implacabile, che li trascina a vivere perdutamente, ma non ancora volontarii a piegare l'avvenimento al loro appetito.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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