C'est une infidelité que d'offrir la poésie de Lucréce en images brillantes, mais brisées. L'exactitude consiste ici à respecter avant tout la suite des pensées; le reste est un agréable surcroît, qu'il faut donner si l'on peut. E questo è il pregio del Marchetti; mentre prodiga gli ornamenti poetici, rende benissimo l'andamento dell'originale.
Come Angelo Firenzuola traducendo l'Asino d'oro d'Apuleio vi annestò, quasi fosse egli l'autore, alcune memorie di sè, così fece il Marchetti introducendo nel suo Lucrezio le lodi del suo maestro Borelli e del Gassendi, grande rinnovatore della filosofia di Epicuro nel secolo XVII. Del Borelli si veda ai versi 955-960 del I Libro ove l'aggiustò ad Archimede, perciò avevano comune la patria o la Sicilia, essendo l'uno nato in Messina l'altro in Siracusa. Del Gassendi si veda ai versi 525-532 del Libro V. Ed altresì, dolendosi Lucrezio della povertà ed insufficienza della lingua latina a trattare materie filosofiche, il Marchetti che si valeva della lingua toscana non meno flessibile della greca e ricca di modi e partiti da esprimere ogni più astrusa idea, nei versi 181-283 si lodò del felice istromento che aveva sortito.
Tradusse con garbo Anacreonte, sebbene, nel gittare gli occhi sul libro e trovando un primo verso che suona:
Unischiam le rose tenere,
ci pare che ne cada di capo la corona e di mano il bicchiere. Se non che bisogna non isgomentarsi per queste leziosaggini, e continuare, chè n'avremo in compenso vaghezza di lingua e soavità d'armonia, pregi sempre vivaci della Toscana e che si riscontrarono fino in un anatomico, nel Bellini; e il Magalotti, quella gran mente, nelle sue canzoncine e nel Sidro, non è egli vaghissimo e delizioso?
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