Non è che fuor dell'universo estendaI suoi propri confini. È la natura
Del luogo adunque e del profondo spazioTal, ch'i fiumi più torbidi e più rapidi
Non potrebber correndo eternamenteGiungerne al fin giammai, nè far che meno
Da correr li restasse. Or così grandeCopia di luogo han d'ogn'intorno i corpi
Senza fin, senza mèta e senza termine.
Che poi la somma delle cose un fineA sè medesma apparecchiar non possa
Ben provide natura. Essa circondaSempre col vôto il corpo, ed all'incontro
Col corpo il vôto, e così rende immensoL'uno e l'altro di lor. Chè, s'un de' due
Fosse termin dell'altro, egli fuor d'essoTroppo si stenderebbe; e non potria
Durar nell'universo un sol momento,
Nè la terra nè 'l mar nè i templi lucidiDelle stelle e del sol nè l'uman genere
Nè degli dèi superni i santi corpi:
Conciossiachè, scacciati i primi semiDalla propria unïon, liberi e sciolti
Correr dovrian per lo gran vano a volo;
O piuttosto non mai sariansi unitiNè generato alcuna cosa al mondo
Avrian; poichè scagliati in mille partiNon avrebber potuto esser congiunti.
Chè certo è ben ch'i genitali corpiCon sagace consiglio e scaltramente
Non s'allogâr per ordine nè certoSeppe ciascun di lor che moti ei desse;
Ma, perchè molti in molti modi e moltiVarïati per tutto e già percossi
Da colpi senza numero, ogni sorteDi moto e d'unïon provando, al fine
Giunsero ad accozzarsi in quella formaChe già la somma delle cose mostra
E ch'ella ancor per molti lunghi secoliHa già serbato e serba: poichè, tosto
Ch'ell'ebbe una sol volta i movimenti
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