Ma nulla mai si può chiamar più dolceCh'abitar, che tener ben custoditi
De' saggi i sacri templi onde tu possa,
Quasi da rôcca eccelsa ad umil piano,
Chinar tal volta il guardo, e d'ogn'intornoMirar gli altri inquïeti e vagabondi
Cercar la via della lor vita, e sempreContender tutti o per sublime ingegno
O per nobile stirpe, e giorno e notteDurare intollerabili fatiche
Sol per salir delle ricchezze al sommoE potenza acquistar, scettri e corone.
Povere umane menti, animi priviDel più bel lume di ragione, oh quanta
Quant'ignoranza è quella che vi offende!
Ed oh fra quanti perigliosi affanniPassate voi questa volante etade
Che ch'ella siasi! Or non vedete apertoChe nulla brama la natura e grida
Altro già mai, se non che sano il corpoStia sempre e che la mente ognor gioisca
De' piaceri del senso e da sè lungiCacci ogni noia ed ogni tema in bando?
Chiaro dunque n'è pur che poco è 'l nostroBisogno, onde la vita si conservi,
Onde dal corpo ogni dolor si scacci.
Che s'entro a regio albergo intagli auratiDi vezzosi fanciulli accese faci
Non tengon nelle destre, ond'abbian lumeLe notturne vivande emulo al giorno;
Se non rifulge ampio palagio e splendeD'argento e d'òr; se di soffitte aurate
Tempio non s'orna e di canore cetreRisonar non si sente; ah che, distesi
Non lungi al mormorar d'un picciol rioChe 'l prato irrighi, i pastorelli all'ombra
D'un platano selvaggio, allegri dannoIl dovuto ristoro al proprio corpo;
Massime allor che la stagion novellaGli arride e l'erbe di be' fior cosperge.
Nè più tosto già mai l'ardente febbre
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