Creder che i semi abbian tra lor difformiLe forme in infinito, acciò non forzi
Ad esser cose smisurate al mondo:
Il che già falso io ti provai di sopra.
Già le barbare vesti e le superbeLane di Melibea tre volte intinte
Nel sangue di tessaliche conchiglie,
E dell'aureo pavon l'occhiute penneDi ridente lepor cosperse intorno,
Da novelli colori oppresse e vinteGiacerebbero omai; nè della mirra
Sarìa grato l'odor nè del soaveMèle il sapore; e l'armonia de' cigni
Ed i carmi febei sposati al suonoDi cetra tocca con dedalea mano
Fôran già muti; con ciò sia che sempreNascer potriano alcune cose al mondo
Più dell'antiche prezïose e care,
Ed alcun'altre più neglette e viliAl palato agli orecchi al naso agli occhi.
Il che falso è per certo, ed ha la sommaE dell'une e dell'altre un fin prescritto:
Ond'è pur forza confessar che i semiForme infinite varïar non ponno.
Dal caldo, al fine, alle pruine algenti
È finito passaggio, ed all'incontroPer la stessa ragion dal gelo al foco;
Poichè finisce l'un e l'altro, e postiSono il tiepido e 'l fresco a loro in mezzo,
Adempiendo per ordine la somma.
Distanti adunque le create cosePer infinito spazio esser non ponno,
Poscia c'han d'ogni banda acute punteQuinci infeste alle fiamme e quindi al ghiaccio.
Il che mostrato avendo, io vo' seguireA congiunger con questa un'altra cosa
Che quindi acquista fede: ed è che i semiC'han da natura una figura stessa
Sono infiniti. Con ciò sia che, essendoFinita delle forme ogni distanza,
Forz'è pur che le simili fra loroSian infinite o sia finita almeno
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Melibea
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