Or di sè stesso, di sè stesso ancoraGenerolli a principio. Egli a' mortali
Fu bastante a produrre il grano e l'uva;
Egli i frutti soavi, egli i fecondiPaschi ne diè, ch'in questa etade a pena
Con fatica e travaglio aver si ponno.
E; benchè noi degli aratori armentiSnerviam le forze, e le robuste braccia
Affatichiam de' contadini industri,
E ferree zappe e vomeri e bidentiLogoriam per la terra; ella ne porge
A pena il cibo necessario al vitto:
Talmente il suolo a poco a poco scemaDi frutto e sempre le fatiche accresce.
E già l'afflitto agricoltor sospiraD'aver più volte consumati indarno
I suoi gravi travagli; e, quando insiemeI secoli trascorsi e l'età nostra
Piglia a paragonar, loda soventeLe fortune del padre; e s'ange e duole
Che gli uomini primieri agevolmenteFra gli stretti confini, allor che molto
La misura de' campi era minore,
Vivesser la lor vita; e non sovviengliCh'a poco a poco s'infiacchisce il tutto
E stanco al fin per la soverchia etadeVa di morte allo scoglio e vi si spezza.
LIBRO TERZO
Argomento.
Questo libro non tratta d'altro che dell'anima umana; era l'obbietto essenziale della filosofia di Epicuro; è quello altresì in cui pare che Lucrezio appunti tutti i suoi sforzi. Dopo una specie d'invocazione a Epicuro, come al genio della filosofia, il cui aiuto gli è specialmente necessario in questa parte del suo poema, dimostra l'importanza del subbietto che prende a trattare, inquantochè l'ignoranza degli uomini rispetto alla natura della loro anima, è causa di quel loro timore della morte che al poeta pare l'unico fonte di tutti i mali e di tutti i delitti.
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Epicuro Lucrezio Epicuro
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