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      Gli alberi finalmente esser nell'etereNon ponno nè le nubi entro all'oceano,
      Nè vivo il pesce dimorar ne' campi,
      Nè da legno spicciar tepido sangue,
      Nè mai succo stillar da pietra alpina:
      Certo ed acconcio è per natura il luogoOve cresca ogni cosa, ove dimori.
      Così dunque per sè l'alma e la menteSenza corpo già mai nascer non puote
      Nè dal sangue vagar lungi e da' nervi:
      Poichè, se ciò potesse, ella potrebbeMolto più facilmente o nella testa
      Vivere o nelle spalle o ne' calcagni,
      E nascer anco in qualsivoglia parteDel corpo, e finalmente abitar sempre
      Nell'uomo stesso e nello stesso albergoOnde; poichè prefisso i corpi nostri
      Han per natura ed ordinato il luogoOve distintamente e nasca e cresca
      La natura dell'animo e dell'anima,
      Tanto men ragionevole stimarsiDee che si possa generare il tutto
      Scevro dal corpo e mantenersi in vita.
      Onde, tosto che 'l corpo a morte corre,
      Mestier sarà che tu confessi, o Memmo,
      Anco l'alma perciò distratta in esso.
      Con ciò sia che l'unire all'immortaleIl caduco e pensar ch'ei possa insieme
      Operare e soffrir cose a vicenda,
      È solenne pazzia: poichè qual altraCosa mai sì diversa e sì disgiunta
      E fra sè discrepante imaginarsiPotria, quanto l'unirsi all'immortale
      E perenne il caduco e fragil corpoE soffrir nel concilio aspre tempeste?
      In oltre; tutto quel che dura eternoConviene; o che respinga ogni percossa,
      Per esser d'infrangibile sostanza,
      Nè soffra mai che lo penètri alcunaCosa che disunir possa l'interne
      Sue parti, qual della materia a puntoGli atomi son la cui natura innanzi


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Memmo