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      E quei che per qualunque altro desioStracciano ad or ad or noie e tormenti.
      Sisifo, in oltre, in questa vita abbiamoPosto innanzi a' nostr'occhi: e quello è desso
      Che dal popolo i fasci e le crudeliSecuri aver desidera, e si trova
      Sempre ingannato, onde si crucia ed ange:
      Perch'impero bramar, ch'affatto è vanoNè mai può conseguirsi e sempre in esso
      Durare intollerabili fatiche,
      Questo è voler lo sdrucciolevol sassoPortar sulla più alta eccelsa cima
      Del monte alpestre, ond'egli poi si ruotiDi nuovo e caggia in precipizio al piano.
      Il pascer, oltr'a ciò, l'animo ingratoSempre de' beni di natura, e mai
      Non empier nè saziar la brama ingorda;
      Qual allor che degli anni in sè rivoltiTornano i tempi e ne rimenan seco
      Varie e liete vaghezze e lieti parti,
      E pur sazio già mai l'uomo infeliceNon è di tanti e così dolci frutti
      Che la vita gli porge; a quel ch'io stimo,
      Altro questo non è che radunareAcqua in vasi forati i quai non ponno
      Empiersi mai; come si dice a puntoChe a far sian condannate in Acheronte
      Dell'empio re le giovanette figlie.
      Cerbero, fiera orribile e diversaChe latra con tre gole, e 'l cieco Tartaro
      Che fiamme erutta e spaventosi incendi,
      E le furie crinite di serpenti,
      Ed Eaco e Minosse e Radamanto
      Non sono in alcun luogo e senza dubbioEsser non ponno: ma la téma in vita
      Delle pene dovute ai gran misfattiGravemente n'affligge e la severa
      Penitenza del fallo, e 'l carcer tetroE del sasso tarpeio l'orribil cima,
      I flagelli, i carnefici, la peceE le piastre infocate e le facelle,
      E qual altro supplicio unqua inventasse


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Acheronte Tartaro Eaco Minosse Radamanto