Anzi lo stessoEpicuro morío, che 'l germe umano
Superò nell'ingegno, e d'ogni stellaGli splendori oscurò, nato fra noi
Qual sole etereo ad illustrare il mondo.
E tu tèmi 'l morire, e te ne sdegni?
Tu che vivo e veggente hai quasi mortaLa vita omai? Tu che nel sonno involto
La maggior parte dell'età consumi?
Tu che dormi vegliando e mai non restiDi veder sogni, e di paura vana
Hai la mente sollecita, e non troviSovente il mal che sì ti crucia ed ange,
Allor che d'ogn'intorno ebro infeliceSì gravemente da noiose cure
Travagliato ed oppresso e fra pensieriDubbioso ondeggi in mille errori e mille? -
Ah! che, se gl'infelici uomini stoltiDrizzasser gli occhi a rimirar quel peso
Che sì gli opprime, e manifeste e conteGli fusser le cagioni onde ciò nasca
Et onde ognor tanta e sì grave alberghiQuasi mole di male entro a' lor petti,
Non così viverían, come veggiamoViver molti di lor, senza sapere
Nè pur quel ch'e' si vogliano, nè sempreVorrian luogo mutar, quasi potessero
Da tal peso sgravarsi. Esce soventeUn fuor di casa, a cui rincresce omai
Lo starvi, e quasi subito vi torna;
Come quello che fuori esser non vedeCosa che più gli aggradi. A tutta briglia
Caccia questi 'l cavallo e furïoso,
Quasi aiuto portar deggia all'acceseMura del suo palagio, in villa corre:
Ma tócco a pena il limitar bramato,
Sbadiglia e dorme, e d'oblïar procuraCiò che tedio gli reca, e torna in fretta
Di nuovo alla città. Fugge in tal guisase stesso ognun: ma chi non può fuggirsi
Ne segue a viva forza e ne tormenta,
Sol perchè nota la cagion del morbo
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