All'infermo non è: chè s'ei mirarlaSenza velo potesse, ogni altra cura
Posta in non cale, a contemplare omaiDi natura i segreti e le cagioni
Tutto si volgeria: chè non d'un'ora,
Ma d'infiniti secoli in contesaSi pon lo stato in cui dopo la morte
Staranno in ogni età tutti i mortali.
In somma; qual malvagia avida bramaDi vita a paventar sì fattamente
Ne' dubbiosi pericoli ne sforza?
Certo è 'l fin della vita: ogni mortaleD'uop'è che muoia. In un medesmo luogo
Sempre, oltr'a ciò, dimorasi, e vivendoMai non si gode alcun piacer che nuovo
Si possa nominar: ma, se lontanoSei da quel che desideri, ti sembra
Che questo ecceda ogni altra cosa; e, tostoChe tu l'hai conseguito, altro desio
Il cor ti punge. Un'egual sete han sempreQuei che temon la morte, e mai non ponno
Saper che sorte la futura etadeGli appresti, o ciò che porteragli il caso
O qual fin gli sovrasti. Ed allungandoLa vita non per tanto alcun non puote
Scemar del tempo della morte un pelo,
Nè punto sminuir la lunga etadeIn cui star gli convien privo di vita.
Onde, ancor che vivendo ogni uom godesseBen mille e mille secoli futuri,
Non fia nulla però men sempiternaLa morte che l'aspetta: e senza dubbio
Nulla men lungamente avrà perdutoL'esser colui che terminò la vita
Questo giorno medesimo, di quelloChe già morío mill'e mill'anni innanzi.
LIBRO QUARTO
Argomento.
Questo libro quarto non è altro che una continuazione del terzo. Il poeta si studia di spiegare il modo onde gli obbietti esterni agiscono sull'anima per via de' sensi. Le nostre sensazioni, al parer suo, sono prodotte da corpuscoli invisibili, sparsi nell'atmosfera, i quali, introducendosi nei diversi meati de' nostri corpi, affettano diversamente le nostre anime; questi simulacri si dividono in differenti classi.
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