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      Vi si specchian per entro. Or tu non vediDunque omai quanto sia minimo il tempo
      In cui dell'auree stelle i simolacriDall'eterea magion scendono in terra?
      Sì che, voglia o non voglia, è pur mestieroChe tu confessi esser vibrati intorno
      Questi minimi corpi atti a ferirneGli occhi e la vista penetrarne e sempre
      Nascere ed esalar da cose certe;
      Qual dal sole il calor, da' fiumi il freddo,
      Dal mare il flusso od il reflusso edaceDell'antiche muraglie ai lidi intorno:
      Nè cessan mai di gir per l'aria errandoVoci diverse: e finalmente in bocca
      Spesso di sapor salso un succo scende,
      Quando al mar t'avvicini; ed all'incontroMescer guardando i distemprati assenzi
      Ne sentiam l'amarezza. In così fattaGuisa da tutti i corpi il corpo esala,
      E per l'aere si sparge in ogni parte;
      Nè mora o requie in esalando alcunaGli è concesso già mai mentre ne lice
      Continuo il senso esercitare e tutteVeder sempre le cose e sempre udire
      Il suono ed odorar ciò che n'aggrada.
      Perchè poi si conosce esser la stessaQuella figura che palpata al buio
      Fu con le mani e che nell'aureo lumeDopo si vede e nel candor del giorno,
      D'uop'è che la medesima cagioneEcciti in noi la vista e 'l tatto. Or dunque,
      Se palpiamo un quadrato e questo il sensoLa notte ne commuove, e qual già mai
      Cosa potrassi alla sua forma aggiungereIl dì fuorchè la sua quadrata imagine?
      Onde sol nell'imagini consisteLa cagion del vedere, e senza loro
      Ciechi affatto sarian tutti i viventi.
      Or sappi che l'effigie e i simolacriVolano d'ogn'intorno e son vibrati
      E diffusi e dispersi in ogni banda:


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330