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      Ma, perchè solo atti a veder son gli occhi,
      Quindi avvien che dovunque il vólto vòltiIvi sol delle cose a noi visibili
      La figura e 'l color ti s'appresenta.
      E, quanto sia da noi lungi ogni corpo,
      Il simolacro suo chiaro ne mostra:
      Poichè, allor ch'ei si vibra, in un istanteQuella parte dell'aria urta e discaccia
      Ch'è fra sè posta e noi; questa in tal guisaSdrucciola pe' nostri occhi, e quasi terge
      L'una e l'altra pupilla, e così passa:
      Quindi avvien che veggiamo agevolmenteLa lontananza delle cose, e, quanto
      Più d'aere è spinto innanzi e ne forbisceE molce le pupille aura più lunga,
      Tanto a noi più lontan sembra ogni corpo;
      Ch'ambedue queste cose in un balenoFannosi al certo, e che si vegga insieme
      Quai sian gli oggetti e quanto a noi discosti.
      Nè qui vogl'io che meraviglia alcunaT'occupi l'intelletto, ond'esser deggia
      Che non potendo i simolacri all'occhioTutti rappresentarsi, ei pur bastante
      A scorger sia tutte le cose opposte.
      Poichè nel modo stesso aura gelata,
      Che lieve spiri e ne ferisca il corpoCoi pungenti suoi stimoli, non suole
      Mai commover le membra a parte a parteMa tutte insieme; e le percosse e gli urti
      Ricevuti da lor quasi prodottiSembran da cosa che ne sferzi o cacci
      Fuor di sè stessa unitamente il senso.
      In oltre: allor che tu maneggi un sasso,
      Tocchi di lui la superficie estremaE l'estremo color; ma già non puoi
      Sentir quella nè questo, anzi la solaDurezza sua ti si fa nota al tatto.
      Or via, perchè l'imago oltre allo specchioSi vegga, intendi. Chè remota al certo
      Apparisce ogni effigie, in quella guisa


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330