Ulivastra è la mora: inculta ad arteLa sciatta e sporca: Pallade somiglia
Chi gli occhi ha tinti di color celeste:
Forte e gagliarda è la nervosa e dura;
Piccoletta, la nana, e delle GrazieO sorella o compagna e tutta sale:
Quella ch'immane è di statura, altruiTerrore insieme e meraviglia apporta,
Piena d'onor di maestà nel volto.
È balba e quasi favellar non puote?
Fra sè stessa borbotta. È muta affatto?
Un ingenuo pudor fa che non parli.
È ritrosa odïosa e linguacciuta?
Divien lampada ardente. È tisicuzzaE co' denti tien l'anima? vien detta
Gracile e gentilina. È morta omaiDi tossa? cagionevole s'appella.
È paffuta, popputa e naticuta?
Sembra Cerere stessa amica a Bacco.
Sime ha le nari? è Satira o Silena.
Grosse ha le labbra sue? bocca è da baci.
Ma lungo fia s'io ti racconto il resto.
Ma pur; sia quanto vuoi bella di faccia,
Paia a Venere stessa in ogni membroDi leggiadria di venustà simile;
Ben dell'altre ne son, ben senza questaVivemmo innanzi; ben si sa che tutte
Fa le cose medesime che fannoQuelle che son deformi, e che sovente
Di biacca intride e di cinabro il volto,
Folle, e con tetri odor se stessa ammorba,
Sì che fin dalle serve avuta a schivo
È fuggita, odïata e mostra a dito.
Ma di serti e di fior l'escluso amanteSpesso piangendo orna la fredda soglia,
E di soavi unguenti unge l'impòsteMisero, e baci al superb'uscio affigge.
Che poi se dentro al limitare il piedeFerma, un'aura leggier che lo percuota
L'offende sì, che di ritrarlo omaiCerca oneste cagioni: un punto solo
Rasciuga il pianto di molt'anni e freno
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