Onde il blando piacer che ne dà vitaPreso è da noi: che delle fere in guisa
E degli altri quadrupedi animaliStimar si dee che molto più sien atte
Le donne a concepir; poich'in tal modo,
Stando i lombi elevati e 'l petto chino,
Ponno i debiti vasi il viril semeRicever molto meglio. E non ha d'uopo
Di movimenti effemminati e molli:
Anzi a sè stessa il concepir contrastaLa donna, allor che del consorte a gara
Il diletto carnal lieta accompagnaCol moto delle nàtiche, e bramosa
E di mora e di requie impazïenteCon tutto il petto disossato ondeggia;
Poichè 'l vomere allor dal cammin drittoDel solco genital caccia, e rimuove
Da' luoghi a lui proporzionati il seme.
E per questa cagion le meretriciCostuman d'agitarsi, acciò ch'insieme
Schifin lo spesso ingravidare e dienoMaggior gusto a' lor drudi: il che non sembra
Che d'uopo sia per le consorti nostre.
Nè creder mai che per divin volereO per le frecce di Cupido amata
Sia tal volta una femmina deforme:
Con ciò sia che tal or la donna stessaCon l'azioni piacevoli e co' modi
Avvenenti e leggiadri e con lo schiettoCulto del proprio corpo opra che l'uomo
S'avvezzi agevolmente a viver seco.
Nel resto il conversar genera amore;
Chè, sia pur quanto vuol lieve ogni colpo,
Ciò che spesso è percosso in lungo spazioPur cede e cade: or tu non vedi adunque
Che fin dell'acque le minute stilleCon l'assiduo grondar fórano i sassi?
LIBRO QUINTO
Argomento.
Dopo le lodi di Epicuro, che Lucrezio non solo tiene per un Dio, ma pone ai disopra delle divinità, le cui scoperte utili al genere umano hanno meritato loro l'apoteosi, egli espone, il subbietto di questo canto, ch'egli spende nello spiegare la formazione del nostro mondo per via del concorso fortuito degli atomi.
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Cupido Epicuro Lucrezio Dio
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