Tauro o l'idra di Lerna, orrida pesteDi cento serpi velenose armata?
O qual già mai la triplicata forzaDel tergemino mostro? o quale, in somma,
Di Diomede i destrier che per le nariSpiravan fuoco alle bistonie terre
Ed all'Ismaro intorno? o per l'aduncheLor ungna i già tremendi arcadi augelli
Di Stinfalo abitanti? o 'l sempre destoAngue, di forza e di statura immane,
Il qual con ceffo irato e bieco sguardoNegli orti dell'esperidi donzelle
Fu custode de' pomi aurei lucentiAl tronco stesso avviticchiato intorno?
Ed a chi nocerebbe il mar vicinoAll'Atlantico lido od il severo
Pelago immenso, ove de' nostri alcunoNon giunse e tanto il barbaro d'ardire
Non ha che girvi osasse? ogni altro mostroSimile ai già narrati, a morte spinto
Dal forte invitto e glorïoso Alcide,
Ben che morto non fosse, e di che dannoVivo al fin ne saria? Di nullo al certo,
Se dritto è 'l mio giudizio: in così fattaGuisa di belve ancor pregna è la terra,
E di gelido orror colma e di témaPer le selve profonde e pe' gran monti:
Luoghi che lo schivargli è in poter nostro.
Ma, se l'alma non è purgata e mondaDalle fallaci opinïon del volgo,
Venti contrari alla tranquilla vita,
Quai guerre allor, mal nostro grado, e quantiNe s'apprestan perigli? e quai pungenti
Cure stracciano il petto a chi non frenaGli sfrenati appetiti? e chenti e quali
Ne tormentano il cor vane paureChe sorgon quindi? e quali stragi e quante
Generan la superbia e l'arroganza,
L'ira, la fraude, la sozzura, il lusso,
La gola, il sonno e l'ozïose piume?
Dunque, colui che debellò primiero
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Lerna Diomede Ismaro Stinfalo Atlantico Alcide
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