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      Del cor guidarle e della mente al tèmpio.
      Ma io la pur dirò: forse a' miei dettiPer sè medesmo intera fede il fatto
      Sforzeratti a prestar: forse vedraiL'ampia terra agitata orribilmente
      Squassarsi in breve e dissiparsi il tutto.
      Il che lungi da noi volga fortuna,
      E più tosto il mio dir che 'l fatto stessoN'induca a confessar che debbe al fine
      Dagli urti dell'età percosso e vintoCon orrendo fragor cadere il mondo.
      Del che pria ch'io gli oracoli futuriPrenda a svelar, molto più santi e certi
      Di quei ch'è fama che dal sacro lauroDi Febo e dalle pitie ampie cortine
      Uscisser già; se nol ricusi, io voglioPorgerti in brevi sì, ma però saggi
      Detti un lungo conforto: acciò che forseDalla religïon tenuto a freno
      A creder non ti dia che 'l cielo, il mare,
      La luna, il sole, il terren globo e tutteL'auree stelle vaganti e gli astri immobili
      Abbian corpo immortal santo e divino,
      E che giusto però sia che coloroChe del mondo atterrar le mura eccelse
      Con gli argomenti lor bramano, e tantoOsan che sin d'Apollo i rai lucenti
      Smorzar vorriano ed oscurar notandoCon mortal lingua gl'immortali e divi,
      Qual nuovi al ciel nemici empi giganti,
      Del temerario ardir paghino il fio.
      Ma vadan pur sì fatte cose in bandoDalla divina maestà sì lungi,
      E si stimin sì vili e tanto indegneD'esser ascritte in fra gli eterni dei,
      Che più tosto dagli uomini creduteSian di moto vital prive e di senso.
      Posciachè irragionevole per certoPar che sia l'affermar, che della mente
      La natura e 'l consiglio unir si possaA qualunque materia; in quella stessa


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Febo Apollo