Sian dalle nostre degli dèi le sediE tenui e a' corpi lor simili in tutto,
Sì come altrove io proverotti a lungo.
Il dir poscia che dio per util nostroVolesse il mondo fabbricare, e quindi
Com'opra commendabile e divinaDa noi doversi commendare e crederlo
Eterno ed immortal, nè convenirsiIl tentar con parole in alcun modo
Dal suo seggio sturbarlo e fin dall'imoScuoterlo e volger sottosopra il tutto;
Il finger, dico, queste cose ed altreMolte a lor simiglianti è, s'io non erro,
Un'espressa pazzia. Poichè qual utilePuò mai la nostra grazia agl'immortali
E beati apportar, ch'a muover gli abbiaAd oprar cosa alcuna a pro degli uomini?
E qual mai novità tanto allettarliPoteo, che dopo una sì lunga quiete
Da lor goduta per l'innanzi il primoStato bramasser di cangiare in meglio?
Con ciò sia che piacer le cose nuoveDebban solo a color che dall'antiche
Han qualche danno. Ma chi visse innanziSempre lieto e contento e mai soggetto
A travagli non fu, come? e da cui?
Quando? e perchè d'una tal brama accesoEsser poteo? Forse, mi credo, allora
In tenebre la vita ed in tristezzaSi giacque, in fin che delle cose il primo
Origine rifulse. E qual avrebbeDato all'uom nocumento il mai non essere
Uscito a respirar l'aure vitali?
Posciachè ben conviensi a ognun che nasceIl procurar di conservarsi in vita,
Fin che gioie e diletti inebrian l'alma:
Ma chi mai non gustò del viver nostroL'amor, nè fu del numero, qual danno
Dal non esser creato unqua aver puote?
In oltre: onde impiantate ai numi eterniFûr le idee, fûr gli esempli, ond'essi in prima
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