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      Sorga e da tutti i mondi eternamenteScaturisca un sol fiume, ove in tal guisa
      Del calor della luce i genitaliSemi concorran d'ogn'intorno, e dove
      S'aduni il gruppo in guisa tal, che n'esce,
      Quasi da proprio suo fonte perenne,
      Questo lume ed ardor. Forse non vediQuanto ancor largamente i prati irrighi
      D'acqua un picciol ruscello e i campi allaghi?
      Esser dunque anco può che l'aer nostro,
      Dal picciol fuoco onde risplende il sole,
      Di cocenti fervori arda, se tantoPer sè stesso è disposto e così pronto
      Che per debili ardor possa infiammarsi:
      Qual tal volta le biade arder ne' campiE la stoppa veggiam, ben che una sola
      Favilla l'accendesse, e fumo e fiammaD'ogn'intorno eruttar. Forse anco il sole,
      Splendendo in ciel con la rosata lampa,
      Molto di fervor cieco a sè d'intornoFuoco possiede; il qual non luce, e quindi
      Può de' lucidi rai tanto robusteRender le calorifiche percosse.
      Nè chiara appar nè semplice nè certaLa cagione, ond'il sol dall'orbe estivo
      Giunga al flesso brumal d'egoceroteE quinci indietro ritornando il corso
      Dal cancro indrízzi al solstizial confine,
      E come in un sol mese il giro stessoCompir sembri la luna in cui si logora
      Dal sole un anno. Or la cagion di questeCose, torno a ridirti, una nè certa
      Assegnar non si dee. Ch'esser ben puote,
      Qual del grande Abderita il saggio e santoParer già fu, che, quanto più vicini
      Son gli astri a noi, tanto men ratti e mobiliSian dal turbo del ciel portati in volta:
      Con ciò sia che languisca e per di sottoLa vïolenta sua rapida forza
      Più e più si dilegui; e quindi accaggia,


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Abderita