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      Con dispregio e con scherno. Ond'io per l'uomoStimo assai meglio un obbedir quïeto,
      Ch'un voler con l'impero a varie gentiDar legge e sostener scettri e diademi.
      Lascia pur dunque omai ch'altri s'affanniIn van sangue sudando, e per l'angusto
      Calle dell'ambizion corra e s'aggiri:
      Poichè, quasi da fulmine percossiDall'invidia, cader sogliono a terra
      Quei che son più degli altri eccelsi e grandiChe sol per l'altrui bocca ad esser saggi
      Apprendono, e gli onor chieggon più tostoMossi a ciò far dalle parole udite
      Che da' propri lor sensi. E non è questoPiù or nè sarà poi ch'e' fosse innanzi.
      Quindi, ucciso ogni re, sossopra omaiGiacea l'antica maestà del soglio,
      E gli scettri superbi e del sovranoCapo il diadema illustre intriso e lordo
      Di polvere e di sangue or sotto i piediPiangea del volgo il suo regale onore:
      Chè troppo avidamente altri calpestaCiò che pria paventò. Dunque il governo
      Tornava alla vil feccia e all'ime turbe;
      Mentr'ognuno il primato e 'l sommo imperoPer sè chiedea. Quindi insegnaro in parte
      A crear magistrati e promulgareLeggi, a cui sottoporsi a tutti piacque.
      Poichè 'l genere uman, di viver stancoPer mezzo della forza, egro languìa
      Tra guerre e nimicizie: ond'egli stessoTanto più volentier soppose il collo
      Delle rigide leggi al grave giogo,
      Quanto più aspramente a vendicarsiCorrea ciascun che dalle giuste e sante
      Leggi non si permette. Il viver quindiPer mezzo della forza a tutti increbbe:
      Ond'il timor delle promesse peneDi nostra vita i dolci premi infesta.
      Chè la forza e l'ingiuria intorno avvolge


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330