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      Perch'allor vie più nuove et ammirandeEran tai cose. E quindi avean del sonno
      Il dovuto conforto i vigilanti,
      Varïando e piegando in molti modiLe voci e 'l canto e con adunco labbro
      Scorrendo sovra i calami: e discesoQuindi ancor si conserva un tal costume
      Appo quei che, da morbo e da noioseCure infestati, il consueto sonno
      Perdono; e, benchè questi appreso omaiAbbiano il modo di sonar con arte
      Osservando de' numeri concordiLe varie specie, essi però maggiore
      Frutto alcun di dolcezza indi non hannoDi quel che della terra i rozzi figli
      Aveano allor. Chè le presenti coseSe non se forse di più care e dolci
      Pria si gustâr, principalmente al sensoPiaccion, e s'han dall'uomo in sommo pregio:
      Ma la nuova e miglior quasi corrompeL'antiche invenzioni, e muta i sensi
      A ciò che pria ne fu soave. In questaGuisa l'acqua e le ghiande incominciaro
      Dagli uomini a schifarsi, e posto in usoFu da tutti in lor vece il grano e l'uva:
      In questa guisa a poco a poco i lettiStesi d'erbe e di frondi abbandonati
      Furo, e 'l suo primo onor perse la pelleE la veste ferina; ancor che fosse
      Trovata allor con sì maligna invidia,
      Che ben creder si dee ch'a tradimentoFosse ucciso colui che pria portolla,
      E ch'al fin tra le spade insidïoseTutta del proprio sangue intrisa e lorda
      Fosse astretto a lasciarla e non potesseTrarne a pro di sè stesso utile alcuno.
      Allor dunque le pelli or l'oro e l'ostroNe travaglian la vita, e di noiose
      Cure n'empiono il petto, e ne fan guerra:
      Onde, a quel che stim'io, vie più la colpaRisiede in noi: chè della terra i nudi


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330