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      Debba incontrarsi; e al fin provò che l'uomoSpesso in van dentro al petto agita e volge
      Di noiosi pensier flutti dolenti.
      Poichè, siccome i fanciulletti al buioTemon fantasmi insussistenti e larve,
      Sì noi tal volta paventiamo al soleCose che nulla più son da temersi
      Di quelle che future i fanciullettiSoglion fingersi al buio e spaventarsi.
      Or sì vano terror sì cieche tenebreSchiarir bisogna e via cacciar dall'animo,
      Non co' bei rai del sol, non già co' lucidiDardi del giorno a saettar poc'abili
      Fuor che l'ombre notturne e i sogni pallidi,
      Ma col mirar della natura e intendereL'occulte cause e la velata imagine.
      Ond'io vie più ne' versi miei veridiciSeguo la tela incominciata a tesserti.
      E; perch'io t'insegnai che i templi eccelsiDel mondo son mortali, e che formato
      È 'l ciel di natio corpo, e ciò ch'in essoNasce e mestier fa che vi nasca al fine
      Per lo più si dissolve; or quel ch'a dirtiMi resta, o Memmo, attentamente ascolta;
      Poich'al salir sul nobil carro a un trattoIncitar mi poteo l'alta speranza
      Di famosa vittoria, e ciò che 'l corsoPria tentò d'impedirmi ora è converso
      In propizio favor. Già tutte l'altreCose che 'n terra e 'n ciel vede crearsi
      L'uomo, allor che sovente incerto pendeCon pauroso cor, gli animi nostri
      Col timor degli dèi vili e codardiRendonli e sotto i piè calcanli a terra;
      Posciachè a dar l'impero agl'immortaliNumi ed a por nelle lor mani il tutto
      Sol ne sforza del ver l'alta ignoranza;
      Chè, veder non potendo il volgo ignaroLe cause in modo alcun d'opre sì fatte,
      Le ascrive a' sommi dèi. Poichè; quantunque


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Memmo