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      Tempo sia che 'l dissolva e tutto il torniNel caos cieco, una sì fatta mole
      Veggendo sovrastar. Chè se il respiroFosse al vento intercetto, alcuna cosa
      No 'l potria ritener nè dall'estremoPrecipizio ritrar quando vi corre:
      Ma, perch'egli all'incontro eternamenteOr respira or rinforza e quasi avvolto
      Riede e cede respinto, indi più spesso,
      Ch'in ver non fa, di ruinar minacciaLa terra; con ciò sia ch'ella si piega
      E 'ndietro si riversa, e dal gran pondoTutta nel seggio suo tosto ritorna.
      Or quindi è ch'ogni macchina vacilla,
      Più che nel mezzo al sommo, e più nel mezzoCh'all'imo, ove un tal poco a pena è mossa.
      Ecci ancor del medesimo tremoreQuest'altra causa; allor ch'irato il vento
      Subito e del vapor chiuso un'estremaForza, o di fuori insorta o dalla stessa
      Terra, negli antri suoi penetra, e quiviPria per l'ampie spelonche in suon tremendo
      Mormora, e, quando poi portato è 'n voltaIl robusto vigor, fuor agitato
      Se n'esce con grand'impeto, e fendendoL'alto sen della terra in lei produrre
      Suol profonda caverna. Il che successeIn Sidonia di Tiro e nell'antica
      Ega di Acaia. Or quai cittadi abbatteQuesto di vapor chiuso esito orrendo
      E 'l quindi insorto terremoto? In oltreMolte ancor ruinâr muraglie in terra
      Da' suoi moti abbattute, e molte in mareCo' cittadini lor cittadi illustri
      Caddero e si posâr dell'acque in fondo.
      Chè se pur non prorompe, al men la stessaForza del chiuso spirto e 'l fiero crollo
      Del vento, quasi orror, tosto si spargePe' folti pori della terra, e quindi
      Con non lieve tremor la scuote; a punto


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





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