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      Il che ben dichiarato e quasi postoInnanzi agli occhi tuoi, se ben tu 'l miri
      E 'l vedi, cesserai senz'alcun dubbioD'ammirar molte cose. E chi di noi
      Stupisce, se alcun v'ha che nelle membraNata da fervor caldo ardente febbre
      Senta o pur qualsivoglia altro doloreDa morbo cagionatogli? non torpe
      All'improvviso un piè? spesso un acerboDolore i denti non occupa, e gli occhi
      Stessi penètra? Il sacro fuoco insorge,
      E scorrendo pel corpo arde qualunqueParte n'assalse, e per le membra serpe.
      E questo avvien, perchè di molte e molteCose il vano infinito in sè contiene
      I semi, e questa terra e questo stessoCiel ne porta abbastanza, onde ne' corpi
      Crescer possa il vigor d'immenso morbo.
      Tal dunque a tutto il cielo a tutto il nostroGlobo creder si dee che l'infinito
      Somministri abbastanza, onde repenteAgitata tremar possa la terra,
      E per l'ampio suo dorso e sovra l'ondeScorrer rapido turbine, eruttare
      Foco l'etnea montagna, e fiammeggianteMirarsi il ciel; chè ciò ben anco avviene
      Spesso, e gli eterei templi arder fûr visti,
      Qual di pioggia o di grandine sonanteTorbido nembo atra tempesta insorge
      Là 've da fiero turbo i genitaliSemi dell'acque trasportati a caso
      Insieme s'adunâr. - Ma troppo immane
      È 'l fosco ardor di quell'incendio. - Un fiumeAnco, che in ver non è, par non di meno
      Smisurato a colui ch'alcuno innanziMaggior mai non ne vide, e smisurato
      Sembra un albero un uomo; e in ogni specie,
      Tutto ciò che ciascun vede più grandeDell'altre cose a lui simili, il finge
      Immane, ancor che sia col mar profondoCon la terra e col cielo appo l'immensa


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330