Cave tempie e contratte, e fredda ed aspraPelle ed orrido ceffo e tesa fronte.
Nè molto gìa, che da penosa e crudaMorte oppressi giacean: la maggior parte
Perian l'ottavo dì, molti anche il nonoEsalavan lo spirto. E se alcun d'essi
V'era, chè v'era pur, che da sì fieroMorbo scampasse, ei non di men, corroso
Da sozze piaghe e da soverchia e neraProluvie d'alvo estenuato, al fine
Tisico si moria. Con grave duoloDi testa anco tal or putrido un sangue
Grondar solea dall'oppilate nariIn sì gran copia, che, prostrate e dome
Dell'infermo le forze, a dileguarsiQuindi 'l corpo astringea. Chi poi del tetro
Sangue schifava il gran profluvio, ingombriTosto i nervi e gli articoli dal grave
Malor sentiasi e fin l'istesse partiGenitali del corpo. Altri, temendo
Gravemente la morte, il viril sessoTroncâr col ferro; altri restaro in vita
Privi de' piedi e delle mani, ed altriPerdean degli occhi i dolci amati lumi:
Tale avean del morir tema e spavento.
E molti ancor della trascorsa etadeLa memoria perdean, sì che sè stessi
Non potean più conoscere. E, giacendoQua e là di cadaveri insepolti
Smisurate cataste, i corvi i caniI nibbi i lupi non per tanto e l'altre
Fiere belve ed uccelli o fuggian lungiPer ischifarne il lezzo o, tocche a pena
Con l'affamato rostro o col digiunoDente le carni lor, tremanti al suolo
Cadeano anch'essi e vi languian morendo.
Nè però temerario alcun augelloIvi il giorno apparia, nè delle selve
Nel notturno silenzio uscian le fere:
Languían di lor la maggior parte oppresseDal morbo e si morian.
| |
|