Nella maggior parte de' passi che dan luogo a riscontri, si vede ch'egli è esattamente letterale, che mostra temere di valersi di tutti i suoi diritti, che la sola libertà ch'ei prenda è quella di fondere un commentario nella traduzione, studiandosi di spiegare, ma astenendosi dall'abbellir e soverchiamente la concisa aridità del maestro. Se Lucrezio è talora arido, lo fu in prova. Adesso, quando leggiamo quei versi vigorosi e ricchi, ma spenti e privi di-grazia nelle parti più dogmatiche del poema, noi non ci figuriamo la fatica ch'egli dee avervi spesa. Avvezzi alla facile testura, alla bella scelta delle parole, all'arte delicata di Virgilio, la ruvida inesperienza del vecchio poeta ci offende. Noi vorremmo che questi versi didattici fossero più armoniosi e più forbiti, e non pensiamo che era già molto averli fatti chiari e precisi. Bisognava creare la lingua della scienza. Questo fu il compito del poeta, tanto più difficile in quanto egli aveva a-combattere contro gli ostacoli della versificazione. Se il massimo oratore romano potè vantarsi a buona equità di aver trovato vocaboli latini e nuove espressioni per le idee della filosofia greca, ed arricchito la lingua nazionale, Lucrezio dee partecipare con lui a questo onore.
Si potrebbe far il quesito come a Lucrezio, settatore sì fedele di Epicuro, sia venuto in animo di comporre un poema, quando il suo maestro faceva professione di spregiare la poesia e trascorreva a dire "che era mestieri costringere i giovani a passar oltre, a fuggirla, turando loro le orecchie con cera, come fece Ulisse a' suoi compagni11." Epicuro scacciava i poeti perchè eran gli autori della Favola, gli araldi incantatori della superstizione.
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