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      Ce l'ha dimostro il Bembo nel sonetto, Crin d'oro crespo, e in quello, Da que' bei crin, e in quell'altro, O superba e crudele, e in ogni luogo quasi; e se non fosse ch'io così apporterei tedio a V. S., io anderei citando oltre all'Ariosto, il Sannazzaro e gli altri divinissimi spiriti, tanti poeti latini, che, veggendo fra loro tanta concordia, direste ben, che la chioma donnesca deve essere quale io la vi ho dipinta. Ad alcuni non è dispiaciuta quella, che del colore dello elettro o ambra si dimostra. Il perchè il Petrarca non tacque in quel sonetto, L'aura celeste, ove dice che l'ambra perde sua prova paragonata con le bionde chiome di Laura. Non ne tacque il Bembo nel sù allegato suo sonetto. Onde si legge che Nerone chiamava ambro i capelli della sua Poppea dal colore, ambro dico, il cui colore si scorge quasi simile al diafano, o trasparente oro puro, misto però con qualche parte di bianco argento. Ma perchè meno lodevoli e meno cantati sono siffatti crini, io vo', che quelli che stampano meglio il più bello e lucido metallo, che l'auro è, que' siano, come di sopra è stato detto, che hanno da adornare la testa di sì bella e compita donna, e che sieno crespi, come il Petrarca, il Bembo in alcuni luoghi de' componimenti loro sopra citati c'insegnano, e nel suo poema l'Ariosto. Ultimamente fieno lunghi, che siccome il capel brieve all'uomo è alquanto più dicevole, così alla donna viene il lungo a conferire grazia maggiore. Queste tre qualità, ch'io ho posto ne' capelli di questa donna, sono state non senza giudizio tutte in quelli d'Alcina dall'Ariosto descritti.


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Il libro della bella donna
di Federico Luigini da Udine
L'Aristocratica Editrice Milano
1925 pagine 114

   





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