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      Io non leggo mai di Tiresia, di Antipatro, di Didimo, di Omero, di Diodoro stoico, di Caio Druso, di Appio Claudio, di Sansone, di Asclepiade, di Lippo, di Annibale, di Tobia, e finalmente del re di Boemia Giovanni, che fu al tempo del Petrarca, che non mi venga una pietà di loro più che mezzana. Non bisogna andare con ragioni false sofisticando che alcuni fecero bene di privarsene; egli si vede chiaramente che fu una pazzia la loro. Oh come diversamente da questi tempi camminava Stesicoro, il quale, avendo inteso che la luce degli occhi suoi gli era stata tolta non per altro che per aver biasimato la bella Elena, subito per riaverla mutò canto, e dove di lei aveva detto male per lo addietro, incomincio per lo innanzi a dirne altrettanto bene, e così riebbe la cara cosa perduta. Ma io torno agli occhi della donna. Questi io vo' che negri sieno come una matura oliva, come una pece, come un velluto, e tali che si assomiglino a due carboni negrissimi. Questo ha piaciuto sempre ai romani ed ai greci nelle loro donne, ed ora pare che comunemente in Italia piaccia. Il Petrarca nella seconda canzone delle tre sorelle loda in Laura l'occhio nero, e in quella, Verdi panni. L'Ariosto parimenti in Alcina e in Angelica. Il Pontano in Fannia nel primo libro de' suoi Amori; Properzio in Cintia nel secondo de' suoi; Orazio in Lica nell'ode, il quale anche nella polemica ne parla di siffatti occhi. Il Boccaccio, se la memoria non m'inganna, della Fiammetta parlando, dice ch'avea a quei d'un falcone simili gli occhi suoi, i quali occhi sono anzi vivi che no, come noi abbiamo più volte potuto vedere.


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Il libro della bella donna
di Federico Luigini da Udine
L'Aristocratica Editrice Milano
1925 pagine 114

   





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