Queste ultime parole del signor Vinciguerra giudicammo noi tutti essere state da lui dette in dimostrazione della fierezza che a voi, monsignore, avesse usato, o usasse a vostra bella e amorosa Picezza; e tanto più venimmo in questa opinione prestamente, che sapevamo lui essere nostro difensore in tener ch'ella fosse la più bella donna delle nostre, e non avere poi il medesimo bella innamorata; ma egli negò questo con dire, che dove procurava di mostrare prima e maggiore bellezza, che non è nelle nostre, essere e ritrovarsi nella nostra Diva, e che in bella donna non dee crudeltà annidarsi, egli farebbe contro sè accennando questo, e torrebbe alla donna nostra alquanto del suo bello. In fine poi disse, che ciò ch'egli avea detto allora che fu interrotto, aveva detto per tassare il vizio delle belle donne, cioè la crudeltà e non attribuirlo a quella donna, da cui esso ogni imperfezione voleva essere lontanissima.
Così detto si mise a seguire, soggiungendo: Poichè ho dimostrato gli occhi di questa donna dovere esser neri, non erranti e pietosi al guardo, io voglio anco che sieno luminosi e sfavillanti in guisa che contendere con le chiarissime stelle nel limpidissimo e serenissimo cielo scintillanti possano senza vergogna niuna. Tali erano quelli di Dafne fuggitiva; alti quelli di Narcisio, come ci scopre Ovidio; tali quelli di Laura, come ci mostra il Petrarca nel sonetto, Amor, e io si pien di meraviglia, e in quello, Quel sempre acerbo, e in altri luoghi assai; tali quei di Amaranta presso al Sannazzaro; tali quei di Antia bella innamorata di M. Tito Strozza il padre, presso al primo libro de' suoi Amori; tali quei di Sulpizia presso a Tibullo al quarto libro; tali quei di Cintia presso a Properizo al secondo; l'Ariosto in Alcina paragona gli occhi di lei iperbolicamente al Sole.
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