FINE DEL LIBRO PRIMOLIBRO SECONDO
Noi veggiamo oggidì con gli occhi, monsignore messer Giovanni, e tocchiamo, come si usa dire, con la mano, che delle cose principiate tanto è grato non pure all'uomo, ma ancora agli altri animali, privi di ragione e d'intelletto di vedere il mezzo e poi la fine. Che quello e questi non si veggono cessare mai dall'operare infin che non hanno le cose l'ultima e debita perfezion loro; e ciò ne accade vedere più sovente assai, e con maggiore verità allora quando il principio felicemente da tutte le parti si mostra di essere riuscito.
L'uomo ricco incomincia un ampio e magnifico palagio ottimamente, e veggendo bello e vago il fondamento, non può, tirato dal desìo di vederlo fornito, non fare che non s'affatichi per vederlo quanto più tosto e possibile perfetto. Un pittore, se egli da qualche bellissimo esempio ha rapportato già in carta o in asse vagamente la testa di qualche figura antica o moderna che si voglia, come può non ridurre a fine la sua pittura e il suo leggiadro lavoro? Degli animali bruti chi è che dubiti non avvenire il simile? Per la qual cosa, trovandoci noi ancora d'avere poco più che principiata nel precedente libro la donna nostra, e d'averla lasciata, come già più di mille e mill'anni lasciò per morte la seconda Venere che dipingeva a' suoi Coi il tanto famoso e celebrato Apelle imperfetta e non compiuta, strano desìo avevamo tutti ne' cuori nostri di vedernela fornita, e di non lasciarnela così andar male poi che succeduto gloriosamente n'era il bel principio, e sofferto per lei avevamo alquanto di fatica, se fatica o non piuttosto sommo piacere si dee nomare quello che intorno a lei avevamo speso di tempo.
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Giovanni Venere Apelle
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