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      Se ben ora que' due cotanto famosi ritratti di lei, che fece Prassitele nobilissimo scultore, si trovassero al mondo, e quello massimamente che egli vendè agli abitatori di Gnido (il quale per la sua somma e non mai abbastanza lodata perfezione potè a sè trarre molti e molti peregrini vaghi di vederlo, e di sè accendere e invaghire uno siffattamente, che la notte si giacque seco), nondimeno chi di noi è che' amendue questi ritratti pareggiati col nostro, non giudicasse di grandissima lunga restarnegli inferiori ed essere veramente men belli e men vaghi? Chi, di noi è, signori, che s'egli si potesse vedere quel divinissimo di Venere sorgente dal mare, il quale l'ingegnoso e grazioso Apelle con tanta arte fece, e poi il divo Augusto dedicò nel tempio di Giulio Cesare, non tenesse per fermo lui rimaner vinto, e vincitore il nostro? Io sono più che sicuro che, se il medesimo Apelle avesse data perfezione a quello che voleva ai suoi compatrioti fare più bello dell'antidetto, e di cui solo potè fornire politissimamente il capo ed il petto (posto terrore a tutti i dipintori di quel tempo sì, che non fu pur uno che avesse avuto ardire di succedere a lui e fornirlo) non sarebbe riuscito in guisa tale che potuto avesse degnamente porsi a fronte e agguagliarsi col nostro? Ma vogliamolo, prima che ad altro si venga, vestire o no?
      L'eccellente Dottore rispose:
      - Negare non si può che, come dice l'Ariosto, una beltà talora non accresca un bel manto; ma il più delle volte se ne vede il contrario, e di qui è che il medesimo, parlando della bellissima e vaghissima Olimpia, disse e cantò questi leggiadrissimi versi:


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Il libro della bella donna
di Federico Luigini da Udine
L'Aristocratica Editrice Milano
1925 pagine 114

   





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