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      E che farebbono poi in servigio di lei centomila mie laudi,
      ch'io le dicessi di buon cuore? per giudicio mio, nulla; perocchè io mi fo a credere che essa (il che Simmaco appresso ia Macrobio di Virgilio parlando non tacque) siccome per maldicenza di chi si vuole non viene a scemare e a diminuire la sua gloria, così parimente per loda non viene in modo alcuno a farlasi maggiore e più ridondante di quella, ch'ella continuo vedesi avere in ogni luogo e in ogni stagione dell'anno appo, quasi ch'io non dissi, ogni persona e ogni condizione di stato e di grado. Voi averete pazienza a questa fiata, signor Ladislao, dissero, sendo egli qui giunto, i compagni; e perchè ei non lasciasse di dire alquanto in grazia e in onore, come aveva disegnato di fare, della tanto, ma brievemente, da lui commendata musica, incominciaro a dannarla come maligna e rea che si fosse, e non di buoni e casti, ma di perversi e impudichi effetti producitrice; e sovra ciò non pochi esempi, e autoritati per loro facenti allegati fecero ch'egli incominciò così: Voi dite che Alcibiade usava di dire, che gli strumenti posti alla bocca, perchè si sonasse, diformavano il musico, perciocchè gonfiando egli le guancie a pena vi si conosceva dagli amici non chè da altrui, e che esso per arrossito un giorno ruppe lo stormento offertogli dal maestro, e potè far sì (avvenga ch'egli fosse garzone) che allora con consenso di tutto il popolo l'uso di siffatti stormenti vi si lasciò in Atene. Voi mi dite che per la medesima cagione Pallade gittò nel flessuoso e indietro tornante Meandro la sua sonora tibia, la quale poi tolta dal male insuperbito satiro Marsia (ma tacete questo) fu cagione ch'egli provocò, come ben disse il Sannazzaro, Apollo agli suoi danni.


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Il libro della bella donna
di Federico Luigini da Udine
L'Aristocratica Editrice Milano
1925 pagine 114

   





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