Enrico, superbo e caparbio com'egli era, si astenne, non senza ragione, d'impegnarsi in un conflitto con lo spirito desto della nazione. Gli stava dinanzi lo sguardo il fato de' suoi predecessori, che avevano perduta la vita in Berckeley e Pomfret. Non solo soppresse le sue illegali commissioni; non solo concesse un perdono generale a tutti i malcontenti; ma pubblicamente e solennemente fece una apologia, a giustificarsi d'avere infrante le leggi.
La sua condotta, in tal occasione, sparge piena luce su tutta la politica della sua dinastia. Il carattere de' principi di quella casa era violento, il loro spirito altiero; ma essi intendevano l'indole della nazione sulla quale regnavano, e neanche una volta, a simiglianza de' loro predecessori e di taluni de' loro successori, condussero l'ostinatezza fino a un punto fatale. La discrezione de' Tudors era tale, che il loro potere, tuttochè venisse spesse volte avversato, non fu distrutto giammai. Il regno di ciascuno di loro fu disturbato da formidabili malumori; ma il governo riuscì sempre o a calmare gli ammutinati, o a soggiogarli e punirli. Talvolta, per mezzo di concessioni fatte in tempo debito, gli riuscì di schivare le ostilità interne; ma, generalmente parlando, stette fermo, e invocò l'aiuto della nazione. La nazione ubbidì alla chiamata, si affollò attorno al sovrano, e gli prestò man forte ad infrenare la minoranza malcontenta.
In tal guisa, dall'epoca d'Enrico III fino a quella d'Elisabetta, l'Inghilterra crebbe e fiorì sotto una politica che conteneva il germe delle nostre istituzioni presenti, e la quale, benchè non fosse molto esattamente definita o molto esattamente osservata, fu nondimeno efficacemente impedita di degenerare in dispotismo, pel rispettoso timore che lo spirito e la forza de' governati incuteva ai governanti.
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