Pareva cosa mostruosa che una donna fosse il vescovo supremo di una chiesa, nella quale uno degli apostoli aveva inibito che si udisse perfino la voce della donna. Per lo che, la regina reputò necessario di rinunziare espressamente al carattere sacerdotale assunto già da suo padre; il quale carattere, secondo l'opinione di Cranmer, era stato, per divino comandamento, inseparabilmente congiunto alla potestà regia. Allorquando, regnante lei, la professione della fede anglicana venne modificata, il vocabolo supremazia fu interpretato in modo alquanto diverso da quello onde intendevasi comunemente alla corte di Enrico. Cranmer aveva dichiarato, con parole enfatiche, che Dio aveva immediatamente commesso ai principi cristiani l'intera cura di tutti i loro sudditi in ciò che spettava all'amministrazione della parola divina per la cura delle anime, come in ciò che spettava all'amministrazione delle faccende politiche(9). L'articolo trentesimosettimo di religione, fatto nel regno di Elisabetta, dichiara con parole egualmente enfatiche, che il ministero della parola divina non appartiene ai principi. La regina, nondimeno, esercitava tuttavia sopra la Chiesa un potere visitatorio, vasto ed indefinito. Il Parlamento le aveva affidato l'ufficio di infrenare e punire l'eresia ed ogni specie di abuso ecclesiastico, e le aveva concesso di delegare la sua autorità ai suoi commissari. I vescovi erano poco più che suoi ministri. Più presto che concedere al magistrato civile l'assoluta potestà di nominare i pastori spirituali, la Chiesa di Roma, nel secolo undecimo, aveva posta tutta l'Europa in fiamme.
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