Tommaso Hobbes, con un linguaggio più preciso e lucido di quello che fosse stato mai adoperato da qualunque altro scrittore metafisico, sosteneva: la volontà del principe essere la regola del diritto e del torto, ed ogni suddito doversi tener pronto a professare, secondo che piacesse al principe, il Papismo, l'Islamismo o il Paganesimo. Migliaia d'uomini, inetti a conoscere ciò che nelle metafisiche speculazioni di lui fosse degno di stima, facilmente dettero il ben venuto ad una teoria, la quale, esaltando la dignità regia, rallentava i doveri morali, e abbassava la religione al grado di pretta faccenda di Stato, L'Hobbismo divenne tosto parte quasi essenziale del carattere d'un perfetto gentiluomo. Ogni specie di amena letteratura s'imbevve profondamente della prevalente licenza. La poesia si arruffianò ad ogni più basso desio. Il dileggio, invece di fare arrossire la colpa e l'errore, scagliò i suoi formidabili strali contro la verità e l'innocenza. La Chiesa dello Stato lottava, a dir vero, contro la prevalente immoralità, ma lottava debolmente e non di tutto cuore. Era necessario al decoro del proprio carattere, ch'ella ammonisse i suoi figli traviati; ma dava le sue ammonizioni con una tal quale negligenza o svogliatezza. La sua attenzione era rivolta altrove. In cima a tutti i suoi pensieri stava quello di esterminare i Puritani, ed insegnare ai suoi discepoli di dare a Cesare ciò che era di Cesare. Era stata spogliata ed oppressa da quello stesso partito che predicava la più austera morale.
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