Pochi mesi dopo terminate le ostilità nel continente, seguì una gran crisi nella politica inglese. Ad essa ogni cosa tendeva da diciotto anni. Tutta la popolarità, comunque grande, onde il Re aveva iniziato il suo regno, era consunta. Allo entusiasmo di lealtà era succeduta profonda disaffezione. L'opinione pubblica aveva già riandato lo spazio frapposto tra il 1640 e il 1660, e trovossi nuovamente nelle condizioni in cui era allorchè si adunò il Lungo Parlamento.
Il malcontento allora predominante nasceva da molte cagioni; una delle quali era l'orgoglio nazionale oltraggiato. Quella generazione d'uomini aveva veduta la Inghilterra in pochi anni alleata della Francia a patti uguali, vincitrice della Olanda e della Spagna, signora del mare, terrore di Roma, e capo degl'interessi protestanti. I suoi mezzi non erano punto scemati; e si sarebbe potuto sperare che ella sarebbe stata almeno tanto altamente considerata in Europa sotto un Re legittimo, quanto lo era stata sotto un usurpatore, il quale doveva rivolgere tutta la propria energia e vigilanza ad infrenare un popolo riottoso. Nondimeno ella, a cagione della imbecillità e bassezza de' suoi reggitori, era caduta in così basso stato, che ogni principato germanico o italiano che avesse potuto mettere in campo cinquemila uomini, era membro di maggiore importanza nella repubblica delle nazioni.
Al sentimento della umiliazione nazionale andava congiunto il timore per la libertà civile. Voci, a dir vero, indistinte, ma forse più inquietanti a cagione della loro confusione, addebitavano la Corte di trama a danno de' diritti costituzionali degl'Inglesi.
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