XLV. Fra gli uomini di Stato di quell'età, Halifax primeggiava per ingegno. Aveva intelletto fecondo, sottile e capace; eloquenza forbita, lucida e animata, la quale, accompagnata dal tono argentino della voce, empiva di diletto la Camera de' Lordi. Il suo conversare soprabbondava di pensiero, di fantasia, di brio. I suoi scritti politici sono degni di studio per pregio letterario; onde meritamente ei si annovera fra i Classici Inglesi. Alla importanza ch'ei derivava da doti sì grandi e variate, congiungeva la influenza che nasce dal grado e dalla ricchezza. E nondimeno, in politica egli ebbe successo meno prospero di molti altri a lui inferiori. A vero dire, quelle peculiarità intellettuali che rendono pregevoli i suoi scritti, gli furono d'impedimento nelle lotte della vita attiva. Perocchè egli vide sempre gli avvenimenti non nello aspetto in cui comunemente si mostrano ad un uomo che ne è parte, ma quali, dopo lo spazio di molti anni, appariscono allo storico filosofo. Con tale tempra di mente, non poteva a lungo seguitare ad agire cordialmente con nessuna società di uomini. Tutti i pregiudizi, tutte le esagerazioni di ambedue i grandi partiti dello Stato, lo muovevano a scherno. Spregiava le arti vili e gl'irragionevoli clamori dei demagoghi. Spregiava anche più le dottrine del diritto divino e della obbedienza passiva. Metteva egualmente in canzone la bacchettoneria dell'ecclesiastico anglicano e quella del puritano. Non poteva intendere come alcuno avversasse le festività de' Santi, e certi abiti clericali; e come, soltanto per avversarli, l'uomo potesse perseguitare il suo simile.
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