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      È parimente da notarsi, che la medesima rivoluzione che rese impossibile ai nostri Re l'arbitrio di disporre degl'impieghi dello Stato col solo scopo di compiacere alle proprie inclinazioni, ci diede parecchi Re dalla educazione e dalle abitudini resi inetti a mostrarsi ospiti affabili e generosi. Erano nati e cresciuti sul continente. Venuti nell'isola nostra, non vi si trovavano mai come in casa propria. Se parlavano la nostra lingua, la parlavano senza eleganza e con difficoltà. Non giunsero mai ad intendere l'indole nostra nazionale, e nè anche provaronsi di acquistare i nostri costumi. La parte più importante de' loro doveri essi adempivano meglio di qualunque de' principi loro antecessori; poichè governavano rigorosamente secondo la legge: ma non potevano essere i primi gentiluomini del reame, i capi della società culta. Se pure lasciavansi mai andare alla affabilità, ciò seguiva fra mezzo ad una ristretta conversazione, dove non vedevasi quasi neppure un Inglese; e non riputavansi tanto felici, se non se quando potevano passare una state nella terra dove erano nati. V'erano, a dir vero, i giorni determinati in cui essi ricevevano i nobili e i gentiluomini inglesi; ma siffatto ricevimento altro non era che mera formalità, la quale alla perfine divenne cerimonia solenne quanto quella di un funerale.
      Non era tale la Corte di Carlo II. Whitehall, mentre egli vi faceva dimora, era il centro degl'intrighi politici e del brio elegante. Mezzi i faccendieri e mezzi i bellimbusti della metropoli accorrevano alle sue sale.


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Storia d'Inghilterra
di Thomas Babington Macaulay
Editore Felice Le Monnier Firenze
1859 pagine 1707

   





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