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      In letteratura dettava legge al mondo: la fama de' suoi grandi scrittori riempiva l'Europa. Nessun altro paese poteva gloriarsi d'un poeta tragico pari a Racine, d'un poeta comico pari a Molière, d'un favolista gajo come la Fontaine, d'un oratore che avesse il magistero di Bossuet. La gloria letteraria d'Italia e di Spagna era tramontata; quella di Germania non era ancor sorta. Per la qual cosa, il genio degl'incliti uomini che adornavano Parigi, splendeva d'una luce che era resa maggiore dal contrasto. E veramente, la Francia in quel tempo esercitava tale un predominio sopra l'umanità, cui nè anche i Romani pervennero mai. Imperciocchè, mentre Roma era regina del mondo, nelle arti e nelle lettere era l'umile discepola della Grecia. La Francia aveva sopra le circostanti nazioni ad un'ora la supremazia che Roma ebbe sopra la Grecia, e quella che la Grecia ebbe sopra Roma. La lingua francese andava facendosi l'idioma universale, l'idioma delle classi culte e della diplomazia. In parecchie Corti, i principi e i nobili lo parlavano con maggior cura e grazia, che non parlassero la propria lingua. Nella nostra isola, questa servilità era minore di quel che fosse nel Continente. L'essere imitatori non annoveravasi nè fra le buone nè fra le cattive qualità nostre. Nulladimeno, anche in Inghilterra si rendeva omaggio, con poca destrezza, a dir vero, e di mala voglia, alla supremazia letteraria de' nostri vicini. L'armoniosa favella toscana, cotanto famigliare ai gentiluomini ed alle dame della Corte d'Elisabetta, cadde in dispregio.


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Storia d'Inghilterra
di Thomas Babington Macaulay
Editore Felice Le Monnier Firenze
1859 pagine 1707

   





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