Nella mattina del giovedì 5 di febbraio, la Gazzetta di Londra annunzio che Sua Maestà procedeva di bene in meglio, sì che i medici lo credevano fuori di pericolo. Le campane di tutte le chiese suonarono a festa; e si facevano per le vie apparecchi di fuochi artificiali. Ma verso sera si seppe il Re essere ricaduto, e i medici avere perduta ogni speranza di salvarlo. Il pubblico ne rimase grandemente contristato; ma non v'era indizio di tumulto. Il Duca di York, il quale erasi assunto il carico di dare ordini, si assicurò che nella Città era perfetta quiete, e ch'egli, appena spirato il fratello, poteva senza difficoltà essere proclamato Re.
Carlo soffriva estremamente, e diceva di sentirsi bruciare dentro come da un fuoco. Nondimeno sostenne i proprii tormenti con una fortezza che non pareva compatibile con la sua molle e lussuriosa natura. Lo spettacolo della sciagura di lui commosse tanto la moglie, che svenne, e così priva di sensi fu portata alle sue stanze. I prelati che lo assistevano lo avevano fin da principio esortato ad apparecchiarsi al gran viaggio. Adesso stimaronsi in debito di favellargli con più calde parole. Guglielmo Sancroft Arcivescovo di Canterbury, uomo onesto e pio, quantunque di piccola mente, gli disse liberamente: "È tempo di parlar chiaro, perocchè voi siete, o signore, sul punto di comparire avanti ad un Giudice che non ha rispetto di persone." Il Re non rispose né anche una parola.
Tommaso Ken, vescovo di Bath e di Wells, allora volle provarsi di persuaderlo.
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