Mitigando con un reggimento temperato la severità delle sanguinose leggi d'Elisabetta, il Re non violava nessun principio costituzionale: solo esercitava un potere ch'era sempre stato inerente alla Corona. Anzi, solamente faceva ciò che poscia fu fatto da parecchi sovrani zelanti delle dottrine della Riforma; cioè da Guglielmo, da Anna, e dai principi della Casa di Brunswick. Se avesse patito che i preti cattolici romani, ai quali poteva senza violazione della legge salvare la vita, fossero impiccati, strascinati e squartati, per aver praticato quello ch'ei considerava come loro debito precipuo, si sarebbe attirato addosso l'odio e lo spregio anche di coloro, ai pregiudizi de' quali egli aveva fatta così vergognosa concessione; e se si fosse contentato di concedere ai membri della sua propria Chiesa una tolleranza pratica, facendo largo uso della sua indubitata prerogativa di far grazia, i posteri lo avrebbero unanimemente applaudito.
I Comuni, probabilmente, considerata bene la cosa, conobbero di avere operato in modo assurdo. Rimasero anco conturbati sentendo come il Re, cui essi tributavano superstiziosa riverenza, fosse grandemente sdegnato. Furono quindi solleciti ad espiare l'offesa. Nella Camera, con unanime voto, disfecero la deliberazione unanimemente fatta in Comitato, e adottarono la proposta di rimettersi con intera fiducia alla graziosa promessa che la Maestà Sua aveva loro data di proteggere quella religione che loro era cara più della stessa vita(384).
XXXIV. Tre giorni dopo, il Re fece sapere alla Camera, avere suo fratello lasciati certi debiti, e le provvigioni della flotta e dell'artiglieria essere pressochè esauste.
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