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      Costoro vedevano poca differenza tra Argyle e Giacomo. L'ira loro era giunta a tal segno, che quello che a chiunque altro sarebbe sembrato bollente zelo, pareva loro tepidezza Laodicea. La vita trascorsa del Conte era macchiata di ciò ch'essi consideravano come vilissima apostasia. Quegli stessi montanari da lui adesso condotti ad estirpare la prelatura, pochi anni prima erano stati da lui medesimo chiamati a sostenerla. E siffatti schiavi, che nulla sapevano e nulla curavansi della religione, pronti a combattere per il Governo sinodale, per lo Episcopato, per il Papismo, secondo che a Mac Callum More fosse piaciuto comandar loro, potevano eglino essere buoni alleati del popolo di Dio? Il proclama, per quanto indecente e intollerante fosse nella forma, agli occhi di cotesti fanatici era componimento codardo e mondano. Una riforma qual Argyle intendeva stabilire, e quale fu poi stabilita da altro più potente e fortunato liberatore, sembrava loro che non valesse un conflitto. Essi avevano mestieri non solo della libertà di coscienza per sè stessi, ma d'assoluto dominio sopra la coscienza altrui; non solo della dottrina, della politica, e del culto de' Presbiteriani, ma della Convenzione in tutto il suo estremo rigore. Nulla poteva contentarli se non questo, che ogni fine per cui esiste la società civile venisse sacrificato al predominio d'un sistema teologico. Chiunque credeva che nessuna forma di Governo ecclesiastico valesse il violare la carità cristiana, e raccomandava armonia e tolleranza, secondo la frase loro, tentennava tra Jehovah e Baal.


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Storia d'Inghilterra
di Thomas Babington Macaulay
Editore Felice Le Monnier Firenze
1859 pagine 1707

   





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