Quantunque non potesse tenersi sulle proprie gambe senza che venisse sorretto da due uomini, si mantenne forte fino allo estremo momento, e sotto il patibolo alzò la sua debole voce contro il papismo e la tirannide con tanta veemenza, che gli officiali comandarono si desse ne' tamburi perchè il popolo non l'udisse. Diceva d'essere stato amico della Monarchia temperata. Ma non aveva voluto mai credere che la Provvidenza avesse mandato nel mondo pochi uomini in isprone e stivale, pronti a cavalcare, e milioni pronti a lasciarsi imbrigliare e cavalcare. "Voglio" esclamò egli "benedire e magnificare il santo nome di Dio, che mi ha ridotto a questo punto non per male alcuno che io abbia fatto, ma per avere propugnata la sua causa in tempi infausti. Se ogni capello del mio capo fosse un uomo, li porrei a rischio tutti per questa contesa."
E mentre era processato, e innanzi di essere giustiziato, parlò dell'assassinio con lo abborrimento convenevole a buon cristiano e valoroso soldato. Protestò, sulla fede di moribondo, di non avere mai avuto pensiero di commettere tanta scelleratezza. Ma confessò francamente d'avere, conversando coi suoi compagni di congiura, nominato la propria casa come luogo dove Carlo e Giacomo si sarebbero potuti assalire con prospero successo; e molto essersi ragionato sopra ciò, sebbene nulla si fosse concluso. Potrebbe a prima vista sembrare che cosiffatta confessione fosse incompatibile colla dichiarazione da lui fatta, di aver sempre abborrito dallo assassinio.
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