Burton, dopo d'essere vissuto lungo tempo in esilio, ritornò con Monmouth in Inghilterra, pugnò in Sedgemoor, fuggì a Londra, ed ebbe asilo in casa di Giovanni Fernley, barbiere in Whitechapel. Fernley era poverissimo. Sapeva che un premio di cento lire sterline era stato offerto dal Governo per la cattura di Burton. Ma l'onesto uomo era incapace di tradire colui che nell'estremo pericolo aveva trovato ricovero sotto il suo tetto. Sventuratamente si sparse la voce, che Giacomo era maggiormente rigoroso contro coloro i quali davano ricetto ai ribelli, che contro i ribelli stessi. Aveva pubblicamente dichiarato, che di tutte le specie di crimenlese, quella di sottrarre i traditori alla sua vendetta, era la più imperdonabile. Burton lo seppe; si diede nelle mani del Governo, accusando Fernley ed Elisabetta Gaunt come rei di averlo ricoverato ed aiutato a fuggire. Furono tratti al tribunale. Lo scellerato al quale avevano salvata la vita, ebbe cuore e faccia di comparire come precipuo testimone contro loro. Dichiarati convinti, Fernley fu condannato alla forca, Elisabetta Gaunt al fuoco. Anche dopo gli orribili fatti di quell'anno, molti credevano impossibile che coteste sentenze si mandassero ad esecuzione. Ma il Re fu senza pietà. Fernley venne impiccato. Elisabetta Gaunt fu arsa viva in Tyburn il dì medesimo nel quale Cornish fu tratto a morte in Cheapside. Lasciò un foglio, scritto, a dir vero, in istile non leggiadro, ma tale che fu letto da migliaia di persone con commiserazione e raccapriccio.
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