Giacomo non solo cessò di manifestare commiserazione per que' malarrivati, ma dichiarò di credere che essi covassero perfidissimi disegni, e confessò di avere errato proteggendoli. Giovanni Claude, uno de' più illustri fuorusciti, aveva pubblicato nel continente un piccolo volume, nel quale dipingeva con tinte vigorose i patimenti de' suoi confratelli. Barillon chiese che il libro venisse solennemente vituperato. Giacomo assentì, e in pieno Consiglio dichiarò, come fosse suo piacere che il libello di Claude venisse bruciato dinanzi la Borsa Reale per mano del boia. Anche Jeffreys ne rimase attonito, e provossi di mostrare che siffatto procedimento era senza esempio; che il libro era scritto in lingua straniera; che era stato stampato in una tipografia straniera; che si riferiva interamente a fatti successi in un paese straniero; e che nessun Governo inglese s'era mai impacciato di tali opere. Giacomo non patì che la questione venisse discussa. "La mia deliberazione" disse egli "è fatta. Oramai è nata l'usanza di trattare i Re con poco rispetto, ed è mestieri che tutti vicendevolmente si difendano. Un Re dovrebbe essere sempre il sostegno dell'altro; ed io ho ragioni particolari per rendere al Re di Francia questo atto di rispetto." I consiglieri stettero muti. L'ordine fu emanato; e il libro di Claude fu dato alle fiamme, non senza alte mormorazioni di molti che erano stati ognora riputati fermi realisti(651).
La colletta, già promessa, fu per lungo tempo per vari pretesti differita.
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