VI. Parecchi Atti di Parlamento, chiari quanto qualunque altro che si contenga nel libro degli Statuti, avevano provveduto che niuno si potesse ammettere ad alcun grado in ambe le Università senza prestare il giuramento di supremazia, e un altro di simile carattere, detto giuramento di obbedienza. Nonostante, nel febbraio del 1687, giunse a Cambridge una lettera del Re che ingiungeva fosse ammesso al grado di Maestro dell'Arti un monaco benedettino chiamato Albano Francis.
Gli ufficiali accademici, ondeggiando tra la riverenza pel Re e la riverenza per le leggi, stavansi gravemente contristati. Mandarono in gran diligenza messaggi al Duca d'Albemarle, successore di Monmouth nella dignità di Cancelliere dell'Università. Lo pregavano di presentare nel suo vero aspetto il caso al Sovrano. Intanto l'archivista e i bidelli andarono ad annunziare a Francis che ove egli prestasse i giuramenti secondo richiedeva la legge, sarebbe subito ammesso. Francis ricusò di giurare(897), inveì contro gli ufficiali della Università mancatori di rispetto al comando sovrano, e trovandoli inflessibili, montò a cavallo, e corse a recare le sue doglianze a Whitehall.
I Capi de' Collegi allora si ragunarono a consiglio. Vennero consultati i migliori giureconsulti, e tutti unanimemente giudicarono il corpo universitario avere bene operato. Ma già era per via un'altra lettera scritta da Sunderland con altere e minacciose parole. Albemarle annunziò contristatissimo alla Università avere egli fatto ogni sforzo, ma essere stato freddamente e con poca grazia accolto dal Re. Il corpo accademico, impaurito della collera sovrana, e sinceramente desideroso di compiacere ai voleri del Re, ma deliberato di non violare le patrie leggi, gli sottopose le più umili e riverenti spiegazioni, ma indarno.
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