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      Voi non dovete venire a patti col vostro Sovrano," disse il Cancelliere. "No," esclamò il Re. "Io non vi comando questo. Se a voi parrà di negare la vostra scrittura, non ho più nulla a dire."
      I Vescovi furono più volte fatti uscire dalla sala, e più volte richiamati. Alla perfine, Giacomo positivamente comandò loro di rispondere alla domanda. Non promise espressamente che la confessione non verrebbe considerata come argomento contro di loro. Ma essi non senza ragione supponevano che dopo la protesta fatta dallo Arcivescovo e la risposta data dal Re, un tale impegno fosse sottinteso nel suo comando. Sancroft riconobbe per suo lo scritto, e i suoi confratelli ne seguirono lo esempio. Allora furono interrogati intorno alla significanza d'alcune parole della petizione, e intorno alla lettera che era andata in giro con tanto effetto per tutto il Regno: ma le loro parole furono così circospette, che il Consiglio non potè ricavare nulla dallo esame. Il Cancelliere quindi annunziò loro che verrebbe fatto contro essi un processo criminale nella Corte del Banco del Re, e intimò che sottoscrivessero l'obbligo di presentarsi. Ricusarono allegando il privilegio della Paria: imperocchè i migliori giuristi di Westminster Hall avevano assicurato loro che nessun Pari poteva esser costretto a firmare il predetto obbligo per accusa di libello; ed essi non reputavansi in diritto di rinunciare al privilegio dell'ordine loro. Il Re fu tanto stolto da stimarsi personalmente offeso, perchè, in una questione legale, si richiamavano al parere de' dottori della legge.


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Storia d'Inghilterra
di Thomas Babington Macaulay
Editore Felice Le Monnier Firenze
1859 pagine 1707

   





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