Questo fatto congiunto con l'altro, che dopo d'essersi partiti dalla presenza del Re, fu vista nelle mani di lui una petizione munita delle loro firme, era tal prova che poteva ragionevolmente convincere i giurati del fatto della pubblicazione.
La pubblicazione adunque rimase provata. Ma lo scritto in tal guisa pubblicato era un libello falso, maligno, sedizioso? Fino a questo punto s'era discusso se un fatto, che ciascuno sapeva esser vero, potesse provarsi secondo le regole tecniche della scienza legale; ma adesso la contesa divenne assai più grave. Era necessario esaminare i limiti della prerogativa e della libertà, il diritto del Re a dispensare dagli statuti, il diritto de' sudditi a presentare petizioni a risarcimento di danni. Per tre ore gli avvocati degli accusati argomentarono con gran forza a difendere i principii fondamentali della costituzione, e provarono coi Giornali, ovvero processi verbali della Camera de' Comuni, che i Vescovi avevano detta la schietta verità quando dimostrarono al Re che la potestà di dispensare ch'egli voleva arrogarsi, era stata più volte dichiarata illegale dal Parlamento. Somers fu l'ultimo a perorare. Parlò poco più di cinque minuti; ma ogni parola che gli usci dalle labbra era pregna di significanza; e allorquando si assise, la sua reputazione d'oratore e di giureconsulto costituzionale era stabilita. Esaminò, una per una, tutte le parole adoperate dall'Accusa per esprimere il delitto imputato ai Vescovi, e mostrò che ciascuna, sia aggettivo, sia sostantivo, era affatto impropria.
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