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      Nel suo Manifesto aveva protestato contro ogni pensiero di conquistare la Inghilterra; aveva asserito che coloro i quali gli attribuivano siffatto disegno, calunniavano iniquamente non solo lui, ma tutti quei Nobili e gentiluomini patriotti che lo avevano invitato; che le forze da lui condotte erano evidentemente inadeguate(1264) ad una impresa così ardua; e che era fermamente deliberato di portare innanzi a un libero Parlamento tutte le pubbliche doglianze e le sue proprie pretese. Non era equo nè saggio ch'ei per qualsiasi cosa terrena rompesse la sua parola solennemente impegnata al cospetto di tutta la Europa. Nè era certo che, chiamandosi conquistatore, chetasse quegli scrupoli onde i rigidi Anglicani ripugnavano a riconoscerlo Re. Imperocchè, in qualunque modo egli si chiamasse, tutto il mondo sapeva ch'egli non era vero conquistatore. Era manifestamente un'aperta finzione il dire che questo gran Regno, con una potente flotta in mare, con un esercito stanziale di quarantamila uomini, e con una milizia civica di centotrentamila uomini, fosse stato, senza un solo assedio o una sola battaglia, ridotto a condizione di provincia da quindicimila invasori. Non era verosimile che cosiffatta finzione rasserenasse le coscienze realmente scrupolose, mentre non mancherebbe di ferire l'orgoglio nazionale ormai cotanto sensitivo e irritabile. I soldati inglesi erano in tali umori che richiedevano d'essere con somma accortezza governati. Sentivano che nella recente campagna non avevano sostenuta una onorevolissima parte.


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Storia d'Inghilterra
di Thomas Babington Macaulay
Editore Felice Le Monnier Firenze
1859 pagine 1707

   





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