Sancroft, il quale, dopo il ritorno del Re da Kent a Whitehall, non s'era più immischiato ne' pubblici affari, in questa occasione uscì fuori del suo ritiro onde porsi a capo dei realisti. Parecchi messaggieri furono spediti a Rochester con lettere pel Re. Lo assicuravano che i suoi interessi sarebbero strenuamente difesi, solo ch'egli in questo estremo momento si persuadesse a rinunziare ai disegni cotanto dal suo popolo aborriti. Alcuni spettabili Cattolici Romani gli tennero dietro onde scongiurarlo, per amore della comune religione, non si ostinasse in una vana contesa(1268).
Il consiglio era salutare; ma Giacomo non era in condizione da seguirlo. Comunque avesse avuto sempre debole e tardo intendimento, le donnesche paure e le puerili fantasie che gli agitavano l'anima, glielo rendevano affatto inutile. Accorgevasi bene la sua fuga essere la cosa che sopra tutto temevano gli amici e desideravano gl'inimici suoi. E quando anco avesse corso pericolo di vita a rimanere, l'occasione era tale ch'egli avrebbe dovuto reputare infame il ritirarsi: imperocchè(1269) trattavasi di sapere se egli e i posteri suoi dovessero regnare assisi sul trono avito, o andare raminghi ed accattando in terra straniera. Ma nell'anima sua ogni altro sentimento aveva ceduto al vigliacco timore di perdere la vita. Alle calde preghiere e alle incontrastabili ragioni degli agenti mandati a Rochester dagli amici suoi, egli dava una sola risposta: la sua testa essere in pericolo. Invano gli assicuravano tale sospetto essere privo di fondamento; il buon senso, ove non fosse la virtù, dovere dissuadere il Principe d'Orange dalla colpa e vergogna del regicidio e del parricidio, e molti, i quali non consentirebbero a detronizzare il loro Sovrano mentre rimaneva nell'isola, reputarsi per la sua diserzione sciolti dal loro debito di fedeltà. Ma la paura vinse ogni altro sentimento.
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