Ma questo non è tutto. Il bisogno dei principj religiosi fu in quell'occasione supplito dalla vanità nazionale, e da un riguardo per l'interesse, due principj che furono in vigore per più di un secolo prima della riforma, e rafforzarono l'attaccamento degl'Italiani alla santa sede. Il trasferimento della corte papale ad Avignone scemò di molto la ricchezza, e l'importanza di Roma. Dopo il ritorno de' papi alla loro antica sede, e dopo il ristabilimento del pontificato dalla ferita mortale fattavi dallo scisma degli antipapi, i Romani si congratularono di aver ricuperato la loro antica grandezza. Gli Italiani parteciparono di questo sentimento, ed essendosi spenta la passione della libertà politica, da cui erano stati animati, sembrarono stimare, che la perdita dell'antica gloria di cui una volta godeva l'Italia, come padrona del mondo, fosse compensata dall'essere divenuta capo della Cristianità. Quando i concilj di Pisa, di Costanza, di Basilea, attaccarono le corruzioni della corte romana, e cercarono di tarpare le ali alla sua autorità, gl'Italiani furono indotti a mostrarsi in sua difesa. Come nazione, eglino si sentirono disonorati dalle invettive, che i riformatori di quel tempo scagliarono contro i vizi italiani praticati da loro pontefici; e videro che le riforme, che venivano con tanto ardore sollecitate, avrebbero troncate, o scemate quelle pecuniarie risorse, con cui speravano di arricchirsi. I papi ebbero a cuore di alimentare questo spirito. Con [36] un sistema di fina politica, i vescovi di Roma avevano preso cura, che il potere, il quale avevano a gradi acquistato su tutte le nazioni dell'Occidente, non riuscisse infruttuoso.
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